Letti, scalda-acqua e libri: come gli scioperi della fame hanno trasformato le celle dei prigionieri palestinesi.

Mag 8, 2019 | Riflessioni

Dietro ogni oggetto all’interno di una tipica cella, dietro ogni diritto conquistato dai detenuti, si nasconde la storia di uno sciopero della fame

di Mustafa Abu Sneineh

Middle East Eye, 1 Maggio 2019

Un prigioniero sbircia attraverso le sbarre della sua cella ad Ashkelon, 2005. (Reuters)

Prima del 1992, ai prigionieri politici palestinesi detenuti nelle carceri israeliane non era permesso tenere nella propria cella un bollitore o una piastra elettrica per preparare acqua calda per il tè o il caffè.

Quell’anno furono in migliaia a partecipare ad uno sciopero della fame durato 15 giorni per ottenere questo risultato, ricorrendo a una tattica che era stata regolarmente utilizzata dai prigionieri, a partire dal 1967, per ottenere concessioni e migliori condizioni di detenzione dalle autorità carcerarie.

Dietro ogni oggetto nelle celle dei prigionieri, e dietro ogni diritto conquistato, si nasconde la storia di uno sciopero della fame.

Questo vale per i vestiti che indossano, i libri che leggono, la carta sulla quale scrivono, le foto di famiglia che amano, i letti e i materassi di schiuma su cui dormono.

Prigionieri palestinesi concludono lo sciopero della fame dopo che Israele ha accolto le loro richieste

L’ultimo sciopero della fame palestinese è durato otto giorni e si è concluso il 15 aprile 2019, quando il servizio carcerario israeliano (IPS) ha concesso di installare telefoni fissi all’interno delle carceri ed ha liberato i detenuti tenuti in isolamento carcerario.

Ci sono stati almeno 25 scioperi della fame palestinesi dalla guerra del 1967, quando Israele occupò la Cisgiordania e la Striscia di Gaza.

A partire da allora, la detenzione ha rappresentato un “rischio del mestiere” per i Palestinesi, e l’Istituto di Studi sulla Palestina ha stimato nel 2014 che circa l’80 percento della popolazione maschile adulta in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza è stata soggetta a qualche forma di detenzione da parte di Israele a partire dal 1967.

Le organizzazioni per i diritti umani affermano che la detenzione in carceri che si trovano all’interno di Israele di Palestinesi arrestati nei territori occupati viola il diritto internazionale.

A febbraio, secondo i dati pubblicati da Addameer, un’organizzazione per i diritti dei prigionieri, circa 5700 Palestinesi, tra cui 48 donne e 230 bambini, pativano all’interno di carceri israeliane. Quasi 500 prigionieri palestinesi sono attualmente trattenuti in “detenzione amministrativa”, senza capi d’imputazione.

I detenuti impegnati in uno sciopero della fame vedono il proprio corpo come l’unico strumento utilizzabile nella lotta contro le autorità carcerarie. I prigionieri solitamente rifiutano di mangiare qualunque cibo e bevono solo una piccola quantità di acqua salata al giorno, per proteggere lo stomaco e gli organi interni.

È una tattica non priva di rischi, che ha portato in diverse occasioni alla morte dei prigionieri, come nella prigione di Nafha nel 1980. Le autorità carcerarie reagiscono spesso con intimidazioni, irruzioni e alimentazione forzata.

Alcuni dei dettagli riportati nel seguito sugli scioperi della fame sono basati su interviste ad ex-prigionieri politici palestinesi ed hanno lo scopo di fornire un quadro generale sulle rivendicazioni degli scioperi della fame e su come le celle e le condizioni all’interno delle mura carcerarie siano cambiate nel tempo in seguito alle proteste.

1968: Bandite le percosse di routine

Questo fu il primo sciopero della fame organizzato dai prigionieri palestinesi nel carcere di Nablus, in Cisgiordania. Israele aveva invaso la Cisgiordania e la Striscia di Gaza nel giugno del 1967 ed aveva imposto il proprio controllo militare sulle città e sui villaggi delle aree occupate.

Il carcere di Nablus era stato costruito nel 1876 dalle autorità ottomane. Lo sciopero della fame durò solo tre giorni. I detenuti chiedevano che le guardie carcerarie israeliane ponessero fine alla pratica di picchiare i detenuti mentre si recavano ai servizi della prigione, come la cucina o i bagni.

1968: Penne, ma non carta

Nel febbraio del 1968 i detenuti palestinesi cominciarono uno sciopero della fame, che durò otto giorni, nelle prigioni di Ramleh, a sud-est di Tel Aviv, e di Kfar Yona, a nord-est di Tel Aviv.

I detenuti avevano varie richieste, che non tutte furono soddisfatte. Essi difendevano il proprio diritto di rifiutarsi di chiamare le guardie carcerarie israeliane con l’appellativo “Adonai”, ovvero “signore” in lingua ebraica, ed infine questa pratica fu abolita nelle due prigioni.

Ramleh e Kfar Yona permisero inoltre ai detenuti di avere penne, che in precedenza venivano introdotte di nascosto in cella. Ci sarebbero però voluti quasi altri otto anni prima che i detenuti ottenessero carta da scrivere.

L’unico tipo di carta che a quel tempo i detenuti palestinesi avevano all’interno delle carceri israeliane era quella che avvolgeva il burro. I detenuti lavavano e asciugavano la carta del burro, ci scrivevano una lettera utilizzando una penna o un piccolo sasso appuntito e la facevano uscire di nascosto dalla prigione, dopo averla ripiegata con cura a formare una capsula che potesse essere ingoiata da un visitatore o da un prigioniero che stava per essere rilasciato.

1970: Prodotti igienici per le donne

Nell’aprile del 1970, le donne palestinesi imprigionate a Neve Tirtza, un carcere femminile israeliano a sud-est di Tel Aviv, intrapresero uno sciopero della fame di nove giorni.

Le loro richieste erano simili a quelle dei prigionieri maschi, tra cui: porre fine alla pratica delle percosse di routine sulle detenute durante l’utilizzo dei servizi del carcere e porre fine all’isolamento carcerario.

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Ottennero anche un prolungamento del tempo trascorso all’aperto, chiamato “Fora” in lingua araba, e fu loro permesso l’uso di articoli per l’igiene, portati all’interno del carcere dalla Croce Rossa. Ottennero anche che la chiusura metallica sulla porta delle celle fosse sostituita da una grata, con un conseguente miglioramento della qualità dell’aria.

1976: Materassi e Maoismo

Questo sciopero di 45 giorni fu il più lungo dall’inizio dell’occupazione del 1967.

Fu condotto all’interno del carcere di Ashkelon, situato nell’omonimo paese, a sud di Tel Aviv. Lo sciopero fu intenso, doloroso ed estenuante, dal punto di vista fisico e psicologico, per quelli che vi presero parte.

Ma, prolungando la durata dello sciopero della fame da alcuni giorni fino a più di sei settimane, i detenuti furono in grado di ottenere molti miglioramenti, a lungo desiderati, delle proprie condizioni di detenzione.

Per la prima volta ai detenuti fu permesso di avere in cella materiale di cancelleria adeguato, inclusi carta e quaderni, oltre a libri con contenuti politici, che andavano da testi di nazionalisti palestinesi a testi maoisti, e i detenuti stessi si presero cura della biblioteca del carcere. Fu loro concesso di scrivere ai parenti con l’aiuto della Croce Rossa, che consegnava le lettere ai destinatari.

Prima dello sciopero, i detenuti di Ashkelon dormivano su sottili materassi di gomma, “gomi” in lingua ebraica, sotto una coperta leggera. I detenuti dormivano sul gomi disteso sul pavimento, ma durante il giorno dovevano riporre il materasso e sedersi sul pavimento. Chiunque sedesse sul gomi veniva punito.

Palestinesi con ritratti di parenti imprigionati nelle carceri israeliane, mentre protestano per chiedere il loro rilascio durante una manifestazione nella città di Nablus, nel nord della Cisgiordania, aprile 2018 (AFP)​

​In seguito allo sciopero del 1976, ai detenuti furono dati materassi in schiuma. I prigionieri chiesero anche un miglioramento di qualità e quantità del cibo, che veniva preparato da detenuti israeliani condannati per vari reati.

Il menu della colazione consisteva in un pane pita da dividere tra otto prigionieri, un pomodoro ogni quattro di loro, ed olive per ciascun prigioniero. Per pranzo, un piatto di riso da dividere tra due prigionieri, una ciotola di zuppa ed un pezzo di carne o un piccolo pesce.

Ogni prigioniero aveva due piatti ed una ciotola.

1980: Letti concessi per la prima volta

Tre detenuti palestinesi morirono durante lo sciopero della fame nella prigione di Nafha, che cominciò il 14 Luglio del 1980 e durò 33 giorni.

Rasem Halaweh, Ishak Maragheh e Ali Al-Jaafri morirono mentre venivano alimentati forzatamente dalle guardie carcerarie israeliane, che usavano un tubo appuntito, infilato attraverso il naso e spinto fin dentro allo stomaco.

Il carcere di Nafha fu costruito nel 1980 nel deserto del Negev per isolare i leader politici palestinesi e confinarli in un unico luogo, allo scopo di fiaccare il loro morale. Quando cominciò a funzionare, Nafha poteva ospitare 100 prigionieri.

Le condizioni all’interno del carcere nel deserto erano terribili. Sabbia e terra mischiati col cibo. Le celle erano sovraffollate e prive di ventilazione adeguata. I detenuti non avevano cancelleria e potevano stare all’aperto solo un’ora al giorno, nel cortile del carcere.

Non più di due detenuti potevano camminare insieme nel cortile, dovevano tenere le mani dietro la schiena e non avevano il permesso di guardare verso l’alto.

Le autorità carcerarie israeliane portarono alcuni degli scioperanti della fame nel carcere di Ramleh, dove vennero alimentati forzatamente, ed alcuni di loro infine morirono.

Ma lo sciopero della fame raggiunse i suoi obiettivi.

I letti vennero montati per la prima volta a Nafha, e man mano in altre carceri. Le dimensioni delle celle vennero aumentate. Le grate sostituirono le chiusure metalliche sulle porte delle celle. Furono ammessi album con fotografie di famiglia e cancelleria.

1984: Biancheria intima e televisori

Prigionieri palestinesi seduti all’interno di una cella della prigione di Ashkelon, 2004 (Reuters)

Nel settembre del 1984 i detenuti palestinesi cominciarono uno sciopero della fame nel carcere al-Junaid di Nablus, che durò 13 giorni, considerato un punto di svolta nella campagna per il miglioramento delle condizioni di vita all’interno delle carceri.

Haim Barlev, ministro della polizia di Israele, visitò al-Junaid, incontrando e parlando con i detenuti. Barlev andò oltre i limiti stabiliti dai suoi predecessori, ammettendo televisori, apparecchi radio, abiti decenti, alimenti e farmaci migliori.

I detenuti fino ad allora avevano indossato gli indumenti di detenuti precedenti, e ricavavano da sé biancheria intima da vecchie lenzuola e coperte.

Infine, furono ammessi pigiami, casse acustiche e registratori a nastro, ed aumentò la somma in denaro che i detenuti potevano spendere allo spaccio.

1992: Bollitori e bibite gassate

Il 25 settembre 1992 circa 7000 detenuti palestinesi avviarono uno sciopero della fame collettivo in tutte le carceri, che durò 15 giorni.

Lo sciopero della fame fu un successo, giacché i detenuti riuscirono ad obbligare l’Amministrazione Carceraria di Israele a chiudere l’ala di isolamento del carcere di Ramleh e a porre fine alle perquisizioni di routine dei detenuti. Fu aumentato il tempo concesso ai prigionieri per le visite dei familiari e fu loro concesso di avere piastre riscaldanti e bollitori all’interno delle celle.

Fu concesso loro anche di acquistare bibite gassate da un menu ampliato proposto dalla mensa.

Mustafa Abu Sneineh

https://www.middleeasteye.net/news/beds-kettles-and-books-how-hunger-strikes-changed-cells-palestinian-prisoners

Traduzione di Rosaria Brescia

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