‘Democrazia’ in Israele: dove i sudditi Palestinesi sono utilizzati dall’occupante.

Gen 20, 2019 | Riflessioni

Il destino degli abitanti di Khan al-Ahmar viene usato nella campagna elettorale come una pedina politica dal campo di centro destra, che sta facendo pressione per la loro espulsione. Incitazione a un crimine di guerra? Assolutamente.

Hagai El-Ad

Haaretz, 15 gennaio 2019

I residenti di Khan al-Ahmar in una conferenza stampa a settembre, dopo che l’Alta Corte aveva respinto il loro ricorso contro l’evacuazione del villaggio. Olivier Fitoussi

Khan al-Ahmar sarà evacuato molto presto, non vi dirò quando. Ci stiamo preparando per questo” (il Primo Ministro e Presidente del Likud Benjamin Netanyahu, 19 novembre 2018); “Ho emesso un ordine per evacuare Khan al-Ahmar, e un giorno prima dell’evacuazione il primo ministro ha ordinato di cancellarlo” (l’ex ministro della Difesa Avigdor Lieberman, presidente di Yisrael Beiteinu, 2 gennaio); “Stiamo chiedendo al primo ministro di evacuare già oggi le costruzioni illegali di Khan al-Ahmar. Una legge è una legge è una legge” (annuncio di Hayamin Hehadash, la Nuova Destra, 3 gennaio).

“Anche Khan al-Ahmar deve essere evacuato, non è possibile che venga lasciato com’è solo perché hanno una lobby” (Yair Lapid, presidente di Yesh Atid, 22 ottobre 2018); “Sul tema dell’evacuazione di Khan al-Ahmar … ho sempre creduto che lo dobbiamo evacuare” (Lieberman spiega la sua decisione di dimettersi dal governo, 14 novembre 2018).

“Il governo israeliano si sta facendo prendere da un panico inutile e ha paura di evacuare [Khan al-Ahmar] … per paura di ciò che diranno in Europa e di cosa faranno all’Aia” (il Ministro dell’Istruzione Naftali Bennett, ex leader di Habayit Hayehudi, spiega la sua decisione di rimanere nel governo, 19 novembre 2018); “Una completa evacuazione dell’avamposto illegale di Khan al-Ahmar” (al primo posto nella “lista di richieste che il popolo ebraico sta facendo al governo e alla Knesset prima delle elezioni”, redatta dall’organizzazione Im Tirtzu, 15 novembre, 2018); “Khan al-Ahmar deve essere evacuato” (Gideon Sa’ar, ex parlamentare del Likud, 3 gennaio).

Potrei andare avanti con le citazioni, ma il punto dovrebbe essere già chiaro: il destino degli abitanti beduini di Khan al-Ahmar viene usato dai paladini del centro destra come una pedina politica nell’attuale campagna elettorale. Tutti giurano che sono totalmente favorevoli a portare a termine il più presto possibile il crimine di guerra di espellere i residenti che dovrebbero essere protetti in una zona occupata, e affermano che la loro lealtà e il loro impegno a far avanzare l’espulsione è maggiore di quello degli altri leader del centro-destra, e quindi sono loro e i loro partiti a meritare la fiducia dell’elettore.

Incitazione a un crimine di guerra? Assolutamente. Un approccio pratico in vista della campagna elettorale? Senza dubbio. Questo è ciò che sta al fondo delle dichiarazioni programmatiche del centro destra ultranazionalista in vista delle elezioni per la 21ª Knesset. E invece, cosa ne pensano i candidati Benny Gantz, Tzipi Livni, Avi Gabbay, Moshe Kahlon, Shelly Yacimovich, Orli Levi-Abekasis? Beh … c’è il silenzio.

Tirando le somme, tra coloro che stanno trasformando i residenti in questo villaggio della Cisgiordania in un punching ball politico e coloro che hanno perso la lingua, si arriva a un insieme di partiti che rappresentano almeno 90 membri della Knesset, secondo gli ultimi sondaggi. E questa, in poche parole, è l’intera storia. Sia riguardo a Khan al-Ahmar in particolare, sia rispetto al mantenimento della “situazione attuale” in generale.

Quasi tutto l’establishment politico in Israele sostiene in forme diverse la situazione in cui la spoliazione dei Palestinesi –che viene promossa gradualmente, in modo da minimizzare il prezzo internazionale da pagare, mentre vengono realizzati sempre più atti concreti sul terreno– è diventata un progetto nazionale centrale.

In silenzio o apertamente, con una accelerazione o con il ritmo attuale, tutti hanno già espropriato i Palestinesi e continueranno a farlo in futuro; ognuno partecipa al principale meccanismo di consenso israeliano, che si identifica con il progetto centrale del regime: la gestione di tutto il territorio –e di tutto il popolo– tra il fiume Giordano e il mare, a spese e sopra la testa dei sudditi palestinesi.

Per quanto riguarda Israele, i Palestinesi sotto occupazione non hanno diritto ad avere diritti: non ci sono diritti. Pertanto, i politici israeliani possono essere indifferenti al loro destino – o peggio, possono usarli come una pedina politica. In ogni caso, non hanno alcuna rappresentanza e quindi non vi è alcun prezzo politico da pagare nell’arena israeliana per chi li calpesta.

Nello stesso identico modo, i sudditi palestinesi non hanno alcuna rappresentanza nelle commissioni di pianificazione dell’Amministrazione Civile, che facilitano la costruzione di insediamenti per gli Ebrei e la distribuzione di ordini di demolizione per i Palestinesi. Non hanno rappresentanza negli uffici dell’avvocato militare generale, l’insabbiatore seriale dei casi che documentano l’uccisione dei sudditi. E lo stesso vale per il Comitato per le Nomine Giudiziarie, i distretti della polizia israeliana di Giudea e Samaria, il Comando Centrale delle Forze di Difesa israeliane, i ministeri della salute e dei trasporti e le commissioni di vigilanza della Knesset: i sudditi palestinesi non hanno alcuna rappresentanza.

Finché la maggioranza degli Israeliani continuerà a oscillare tra un partito che sostiene il mantenimento della situazione attuale e un altro che lo sostiene ugualmente, questo sarà precisamente il risultato delle elezioni, una volta dopo l’altra. Nel frattempo, i Palestinesi continueranno a essere considerati dei sudditi, poiché siamo noi a stabilire non solo tutte le regole del gioco, ma anche chi può giocare.

Se poi ci si chiede chi sia ad essere sfruttato dai leader di almeno quattro partiti che cercano di reclutare elettori, ebbene tutto questo sta avvenendo sulla testa dei 200 Palestinesi che vivono a Khan al-Ahmar. Questa non è solo una metafora, è una precisa descrizione geografico-politica della situazione, poiché sulle colline che dominano l’enclave, nell’insediamento di Kfar Adumim, vivono cittadini israeliani con diritto di voto. Più del 97% di loro ha votato per uno dei partiti che preferiscono la continuazione della situazione attuale o cambiamenti ancora più radicali. E a Rishon Letzion? Oltre il 92 percento ha fatto la stessa cosa. E a Tel Aviv-Yafo? Oltre il 77 percento. E tra l’intero elettorato? Oltre il 73 percento.

Laggiù, nella valle, vivono dei sudditi. Nessuno ha il diritto di voto: nessuna rappresentanza. Nessuna cabina elettorale è stata collocata, né verrà collocata, nella loro scuola. La scuola è in lista di attesa per la demolizione. Una vita da sudditi, esposti alle decisioni arbitrarie degli occupanti. O, come si chiama in Israele, alla “democrazia”.

Hagai El-Ad

L’autore è il direttore esecutivo del gruppo per i diritti umani B’Tselem.

https://www.haaretz.com/opinion/.premium-to-hell-with-israel-s-palestinian-subjects-1.6845243

Traduzione di Maurizio Bellotto

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