Israele sta seppellendo la soluzione a due stati.

Feb 26, 2018 | Riflessioni

by The Editorial Board

New York Times, 5 gennaio 2018.

[Un utile riassunto sulla recente politica di Israele, vista dall’alleato americano]

Una donna palestinese vicino a Maale Adumin, una delle più grandi colonie israeliane in Cisgiordania. Credit: Rina Castelnuovo per il New York Times

Incoraggiati dai segnali di sostegno provenienti da Washington e dal caos nella politica di Israele, esponenti della estrema destra israeliana stanno approvando provvedimenti che potrebbero infliggere un colpo mortale alla creazione di uno stato separato per i Palestinesi, ossia la cosiddetta soluzione a due stati che rappresenta l’ultima tenue speranza per un accordo di pace. Una speranza che, per quanto tenue, non dovrebbe esser lasciata morire.

I nazionalisti israeliani hanno sempre sognato un unico stato ebraico dal Giordano al Mediterraneo. Il primo ministro Benjamin Netanyahu, mentre diceva a parole di essere favorevole alla soluzione a due stati, nei fatti l’ha continuamente minata alla base. Anche i Palestinesi si sono comportati in modo da mettere ostacoli al loro obiettivo di uno stato indipendente.

Gli Stati Uniti, l’Europa e la maggioranza degli Israeliani si sono opposti all’espansione territoriale di Israele in Cisgiordania ed hanno sostenuto una pace negoziata.

Ma il riconoscimento di Gerusalemme come capitale di Israele da parte del presidente Trump, in contrasto con la tradizionale politica americana, seguìto dalla minaccia fatta dall’ambasciatrice all’ONU Nikki Haley di tagliare gli aiuti ai rifugiati palestinesi, sono stati visti dalla destra come un primo passo per abbandonare la finzione del sostegno ai due stati.

Questi fautori della linea dura, approfittando dell’indebolimento di Netanyahu per le accuse di corruzione, si sono schierati su posizioni ancora più a destra della sua. Il primo ministro non era nemmeno presente a una riunione della leadership del Likud che, per la prima volta, ha sollecitato la formale annessione a Israele degli insediamenti ebraici in Cisgiordania. Il parlamento israeliano, intanto, ha deciso che sarà necessaria una maggioranza di due terzi per qualunque legge che contempli la cessione di parti di Gerusalemme ai Palestinesi, ponendo con ciò un ostacolo a qualunque accordo “terra in cambio di pace” che coinvolga Gerusalemme.

Questo dovrebbe essere il momento giusto per gli Stati Uniti, che sono il maggior sostenitore di Israele nel mondo, per farsi sentire e dire: no, questa strada porta solo a maggior logorio e isolamento per Israele. Ma, a quanto pare, per Trump e per suo genero Jared Kushner che dovrebbe guidare la politica medio-orientale del presidente, la diplomazia significa stare sempre dalla parte dell’alleato.

Inoltre, la minaccia di tagliare il sostanzioso aiuto americano all’agenzia ONU che assiste più di cinque milioni di rifugiati palestinesi e loro discendenti a Gaza, in Cisgiordania, in Libano e in Siria scatenerebbe una crisi umanitaria nei campi rifugiati, metterebbe a rischio la continuità della cooperazione sulla sicurezza tra Palestina e Israele e susciterebbe ulteriori critiche in tutto il mondo.

Trump continua a dire di essere favorevole a trattative di pace. Tutto quello che ha fatto fino ad ora è stato creare maggiori ostacoli e alimentare l’eccitazione degli estremisti di ambo le parti. Se fosse davvero interessato ad un accordo in Medio Oriente, come ha detto in campagna elettorale, questo sarebbe il momento giusto per riaffermare il tradizionale impegno americano per una soluzione a due stati e per dire alla destra israeliana che si sta spingendo troppo in avanti.

The Editorial Board of the New York Times

Traduzione di Donato Cioli

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