Ahed Tamimi è stata schiaffeggiata per prima, ma nessuno ne parla.

Gen 7, 2018 | Notizie, Riflessioni

di Jonathan Ofir

Modoweiss, 28 dicembre 2017

In questo fotogramma dell’agenzia Shehab si vede il soldato israeliano che dà uno schiaffo ad Ahed Tamimi con la mano sinistra.

Il video di Ahed Tamimi che dà uno schiaffo a un soldato israeliano, che nella settimana scorsa ha scatenato un infuocato dibattito nella società israeliana sulla presunta mancanza di reazione dei soldati israeliani, o sul loro “autocontrollo”, ormai non ha bisogno di ulteriori presentazioni. La discussione si è concentrata quasi esclusivamente su quello schiaffo, e sull’umiliazione – dei soldati israeliani, ovviamente. Avrebbero forse dovuto reagire con la violenza? Quel loro presunto autocontrollo è un bene o un male per Israele? È positivo continuare a essere “l’esercito più morale del modo” o è controproducente per l’immagine e la deterrenza di Israele?

Ma qui voglio parlare di un altro schiaffo, che non compare quasi nella copertura giornalistica del caso – lo schiaffo violento dato a Ahed Tamimi dal tanto “autocontrollato” soldato esattamente cinque secondi prima del suo ormai famoso contro-schiaffo al soldato israeliano. In un video di tre minuti postato dalla Shehab Agency sulla sua pagina Facebook si vede chiaramente questo schiaffo dato dal soldato alla ragazza al minuto 0:59. Lo schiaffo arriva dopo una serie di spinte e richieste relativamente gentili da parte di Ahed che sollecita i soldati di andarsene – soldati che stanno occupando il prato di famiglia, nonché forza armata che ha appena sparato in faccia a suo cugino Mohammed mandandolo in coma. C’è un altro schiaffo dato ad Ahed dal soldato al minuto 0:23 del video, un colpo più rapido e meno forte, al quale Ahed non reagisce quasi. Ma è il forte ceffone ricevuto al minuto 0:59 a mandarla su tutte le furie, e la ragazza reagisce mettendo a segno il suo schiaffo al soldato 5 secondi dopo.

Quello, al minuto 1:04 del video, è diventato il “famoso” schiaffo di Ahed al soldato. Ora, potrebbe chiedere qualcuno, perché anche quell’altro schiaffo, dal soldato a Ahed, non è salito agli onori delle cronache? Perché, al contrario, non è stato quasi notato? Perché, e come mai, è stato cancellato dalla narrativa mainstream su quei soldati tanto presuntamente “autocontrollati”?

La risposta sta probabilmente e principalmente nella propaganda israeliana, detta Hasbara, e nel modo in cui i media israeliani hanno scelto di ritagliare la storia – che poi è stata ripresa con ben poco esame critico dai media internazionali. La nuova cornice ritagliata per questa storia vuole concentrarsi esclusivamente sulla reazione di Ahed spogliata da tutte le sue cause – per essere inquadrata come mera provocazione costruita apposta per fare cattiva pubblicità a Israele.

Vorrei ora esporre uno sfondo analitico del perché tale omissione sia stata effettuata, perché si sia verificata, nonché una spiegazione del perché lo schiaffo del soldato e la sua generale omissione dalla discussione rappresentino una grandiosa patologia di negazione sociale. Aggiungiamo qui che Ahed non se ne stava semplicemente lì a non far niente quando è stata colpita. Stava anzi cercando di indurre i soldati ad andarsene, era stata in contatto fisico con loro mettendogli di tanto in tanto le mani addosso, spingendoli leggermente, colpendoli sulle braccia – tutte cose realmente accadute – ma senza diventare molto aggressiva fino al momento in cui riceve lo schiaffo, al minuto 0:59. È solo allora che Ahed comincia a prendere a calci le gambe del soldato e poi gli dà uno schiaffo. È possibile ipotizzare, dall’angolazione del video, che il soldato reagisca al fatto che Ahed gli sta mettendo una mano sulla spalla e stia cercando di allontanarle il braccio – ma il suo atto è così brusco che ben difficilmente lo si può definire un “allontanamento” di quel braccio. È piuttosto come una forte frustata da parte del soldato.

Ad ogni modo, non voglio qui valutare giuridicamente dove esattamente il soldato abbia colpito Ahed o quando l’abbia fatto. Intendo qui ragionare sul perché quel colpo sia stato tanto ampiamente omesso dalla storia.

Possiamo cominciare con l’analizzare la patologia insita in questa operazione di “taglia e cuci” da parte dei siti filo-israeliani. Ora, se per esempio digitate “Ahed Tamimi video” su Google, le prime voci contenenti il video saranno quelle amputate da organizzazioni filo-israeliane. Il primo che mi ritrovo davanti è un video intitolato “Legal Insurrection” di 1:12 minuti. Le immagini sono condizionate da un testo che recita: “Il clan Tamimi è tristemente famoso per l’abitudine di mandare i suoi ragazzini ad affrontare poliziotti e soldati ad uso e consumo delle telecamere, nella speranza di provocare una reazione tale da creare un video virale”, e “in questo video del 2017 Ahed Tamimi, sfruttata per la creazione di video fin dalla più tenera infanzia, colpisce e prende a caldi alcuni soldati israeliani che per parte loro non reagiscono”. Il video è amputato della suddetta parte sullo schiaffo del soldato ad Ahed.

Il video successivo offerto dal motore di ricerca è un video di Stand With Us che punta tutto sullo scherno. Si comincia con il titolo: “La Fake Films del BDS presenta…”, “La ragazza aspetta che la telecamera cominci a filmare…”, “Ha inizio una finta colluttazione” ecc. – “Con la partecipazione di Ahed Tamimi come novella Shirley Temple”. Segue la breve clip con lo “schiaffo”, in cui il primo schiaffo da parte del soldato è tagliato. E per finire un nuovo sfottò: “Disponibile sui vostri social media provocatori”, e scritto in piccolo: “non appena la telecamera si accende, la ragazza inizia a provocare i soldati dell’IDF nella speranza di fargli perdere le staffe”.

Non ci sorprende particolarmente che tali organizzazioni filo-israeliane dominino questo genere di social media. Come “Seventh Eye” [rivista israeliana che monitora la libertà di stampa e di espressione] ha recentemente messo in luce, il ministro israeliano agli Affari Strategici sotto Gilad Erdan è anche ministro dell’Hasbara, e ha speso milioni di shekel per finanziare varie organizzazioni in giro per il mondo nel tentativo di sostenere l’immagine di Israele tramite gruppi presuntamente indipendenti. Fra questi anche organi di stampa israeliani come “Yediot Aharonot” – quegli stessi che l’anno scorso hanno ospitato una conferenza anti-BDS, e che ieri si sono buttati a pesce sulla notizia del legislatore israeliano Oren Hazan (Likud) che, salito su un autobus della Croce Rossa pieno di famiglie palestinesi in visita ai parenti detenuti li ha aggrediti chiamandoli “cani”, “feccia umana” e “bestie”. Come nota Itamar Benzaquen di “Seventh Eye”, “i rapporti fra il ministro degli Affari Strategici e “Yedioth Ahronoth” fanno parte di una campagna molto più ampia e molto ben finanziata: fra il giugno e il luglio del 2017 il ministro ha speso quasi 7 milioni di shekel (2 milioni di dollari) per diffondere i suoi messaggi al pubblico in Israele e all’estero. Una cosa più grande di tutte quelle già denunciate da “Seventh Eye” negli ultimi anni”.

Ma gli altri media israeliani saranno pure più critici di così?, qualcuno di voi potrebbe chiedere.

Tre giorni fa “+972 Magazine” ha pubblicato uno squisito articolo di Lisa Goldman intitolato “Nabi Saleh [il villaggio di Ahed] è dove ho perso il mio sionismo”. La Goldman era stata reporter sul campo dalla West Bank per quattro anni prima di approdare a Nabi Saleh, dopo di che aveva dedicato vari mesi a documentare le proteste settimanali del venerdì. In relazione al recente caso di Ahed Tamimi, la Goldman scrive:

“I media israeliani hanno, in buona parte, sostenuto e diffuso la narrativa prodotta dall’esercito sull’incidente – quella di un soldato autocontrollato e maturo che affronta in modo ammirevole una situazione difficile e stressante con attori nemici.”

L’articolo cita testualmente un frammento dal programma d’informazione in prima serata di Yaron London su canale 10 (il frammento, lungo 9 minuti, è linkato nel corpo dell’articolo). Si vedono Or Heller, corrispondente militare della rete televisiva, e Jonathan (Yonatan) Pollak, veterano attivista anti-occupazione. Pur descrivendolo come “un uomo intelligente e colto che, ne sono sicura, si identifica come liberale”, la Goldman fa notare che le posizioni di London “rispecchiano esattamente quelle dell’esercito”:

“La conversazione fra i tre uomini è istruttiva in quanto ci permette di vedere chiaramente quale sia la mentalità della società israeliana mainstream. Dapprima sentiamo Or Heller, esperto corrispondente di cose militari, ripetere la narrativa dell’esercito. Esprime orgoglio per i soldati, afferma che la famiglia Tamimi aveva provocato lo scontro al fine di creare un video di propaganda anti-israeliana, e sostiene che i soldati si trovavano nelle vicinanze solo per impedire ai residenti palestinesi di tirare sassi.

Yaron London, un uomo intelligente e colto che, ne sono sicura, si identifica come liberale, non riesce a mettere in discussione la narrativa di Heller. I due si concentrano semplicemente sulla minaccia posta da quelle ragazzine disarmate ai “loro” soldati, piuttosto che affrontare la vera violenza che quegli stessi soldati esercitano sul villaggio una settimana dopo l’altra.

“Jonathan Pollak era a Nabi Saleh al momento dell’incidente. Guardatelo mentre, calmo, ci offre il contesto, e osservate come Heller e London sembrano scioccati quando Pollak parla del “vostro” esercito – invece di dire “il nostro”. (Pollak è un obiettore di coscienza, cosa che risulta estremamente radicale in Israele.)

“Vale la pena di notare che il corrispondente per gli affari minitari Heller esprime “enorme orgoglio” per quei soldati “autocontrollati” dicendo che hanno agito in modo “intelligente e corretto”:

“Intelligente” perché “fracassare con il calcio di un fucile la testa di una ragazzina quindicenne non è molto intelligente” (in realtà la traduzione inglese omette “il calcio di un fucile” e dice solo “fracassare”, e “non molto intelligente” è tradotto come “meschino”); e “intelligente” perché i soldati avrebbero compreso che “l’intero evento non era tanto un evento militare quanto un evento mediatico.”

Dunque Heller sta qui suggerendo che la reazione “normale” (anche se non la più intelligente) sarebbe, o potrebbe facilmente essere, quella di colpire Ahed con il calcio del fucile – cosa che potrebbe facilmente fracassarle il cranio. Il punto è tradotto male in modo da sembrare un po’ più benevolo agli occhi dei goyim. Un colpo – be’ potrebbe anche trattarsi di un piccolo schiaffo, dico bene? Una cosa che comunque era già accaduta. La parte “intelligente” sarebbe, dunque, evitare di fare cose del genere mentre qualcuno ti sta filmando. Come Ben Caspit, per esempio, il quale ha scritto che “mantenere l’autocontrollo in tale impossibile situazione è molto più difficile che non applicare la forza, soprattutto quando il rabbioso nemico che hai davanti sono tre ragazzine che fanno di tutto per essere picchiate, sapendo fin troppo bene che qualsiasi approccio manesco da parte di combattenti armati su ragazzine presuntamente innocenti potrebbe servire come una mortale arma di propaganda nell’infinita guerra combattuta per i cuori e le menti sui social media.” Tutto sta nel farlo nelle tenebre e quando in giro non ci sono telecamere – questa è la parte “intelligente”.

London, con il suo schmaltz liberal-sionista, ricorda a tutti che uno dei suoi nipoti presta servizio militare laggiù e si domanda: “Mi sono chiesto cosa avrei fatto io in quella situazione – e non ne sono sicuro.” Poi Heller chiede a London: “E tu cosa avresti fatto, Yaron?” Dapprima London risponde di non saperlo. Al che Heller lo incalza “Avresti colpito con il calcio del fucile una quindicenne?” (egregiamente mal tradotto come “se avessi preso un pugno in faccia da una quindicenne?), e London finalmente risponde: “Non so se il mio sistema nervoso avrebbe retto” (mal tradotto in “non so se l’avrei retto”).

Questa espressione [reggere, saper reggere] è gergo israeliano per “impazzire di rabbia”. Un po’ come Ben Caspit, giornalista “di sinistra”, quando scrive che “Io, per esempio, se mi fossi trovato in una situazione analoga sarei da tempo finito in carcere preventivo”. In altre parole, Caspit sta dicendo che sarebbe impazzito di rabbia contro quelle ragazze al punto da far qualcosa meritevole degli arresti. Sta suggerendo indirettamente che la cosa sarebbe normale, dato che perfino lui la farebbe.

Ora, durante tutto il programma informativo il video clip di Ahet Tamimi che schiaffeggia il soldato continua a scorrere sullo sfondo. Viene trasmesso in loop tre volte durante tutto il corso del dibattito. E tutte e tre le volte lo schiaffo del soldato non si vede. La sequenza comincia esattamente un secondo dopo, appena dopo lo schiaffo ricevuto da Ahed. Uno sfondo che in modo semi-consapevole condiziona il pubblico israeliano.

Ma perché questo schiaffo omesso è tanto importante? Innanzitutto vediamo chiaramente come lo schiaffo di Ahed al soldato viene presentato come una cosa importante, anzi, di importanza cruciale, per il pubblico israeliano. Esso rappresenta una sfida che fa “ribollire il sangue” e “rivoltare lo stomaco” di molte persone – anzi, secondo quel Ben Caspit tanto “di sinistra”, di tutti gli israeliani. Ma allora perché lo schiaffo del soldato non è altrettanto importante? Perché offuscherebbe la narrazione dell’“autocontrollo”. Perché se fosse mostrato ridurrebbe l’atto del soldato (dare uno schiaffo a Ahed) al livello di una sciocca baruffa con una quindicenne, cosa che forse risulterebbe ancora più umiliante per il pubblico israeliano. Meglio far vedere solo lo schiaffo di Ahed, perché così si può produrre un maggior consenso per i “prezzo” che la stessa Ahed sarà condannata a pagare. Se i soldati vengono ritratti come “morali” e pieni di “autocontrollo”, l’immagine di Ahed come “provocatrice” ne viene rinforzata. Ma tutto ciò non ha a che vedere solo con uno schiaffo di qua e uno schiaffo di là. Riguarda una negazione su grande scala. È l’intera violenza dell’occupazione che deve essere negata, perché gli israeliani possano sentirsi a posto con sé stessi e con il loro liberale, quasi “sovrumano autocontrollo”, come direbbe Caspit. Se non c’è il contesto – niente occupazione, niente inasprimento delle violenze durante le manifestazioni, niente colpi d’arma da fuoco in testa a un ragazzo, niente salti del muro e niente occupazione del prato familiare, e infine niente schiaffi da parte dei soldati – allora la reazione di Ahed Tamimi è solo una “provocazione”.

Come Orly Noy ha scritto su “+972 Magazine”, “I due soldati possono anche aver agito secondo la loro coscienza rifiutandosi di picchiare Ahed Tamimi, ma più tardi l’esercito in cui prestano servizio ha fatto irruzione nella casa dei Tamimi nel mezzo della notte per arrestare Ahed, e poi ha arrestato anche sua madre quando ha voluto accompagnare la figlia alla stazione di polizia. In altre parole, nonostante tutte le loro intenzioni, il loro incontro con i Tamimi è cominciato con la violenza ed è finito nella violenza. Dal momento in cui hanno indossato la divisa, la loro sensibilità etica ha smesso di essere un fattore determinante.”

Lo schiaffo del soldato alla ragazza può essere, in sé, una cosa piccola in rapporto alla grande, sistematica violenza esercitata contro i Tamimi, Nabi Saleh e i palestinesi in generale. Lo schiaffo di un soldato, in cima a tutto quanto, non è che aggiungere al danno la beffa. Si potrebbe sostenere che non è un tema di discussione in sé. Ma se lo schiaffo dato da Ahed Tamimi al soldato come diretta reazione è tanto importante, perché lo schiaffo del soldato non dovrebbe esserlo affatto?

Lo schiaffo dato dal soldato ad Ahed dovrebbe essere altrettanto importante di quello dato da Ahed al soldato. Ma gli israeliani non vogliono saperne niente, non vogliono stare a pensarci troppo. Perché per loro lo schiaffo dato a un palestinese non ha la minima importanza. Dopotutto sarebbe stato assolutamente normale spaccarle la testa con il calcio del fucile, quindi perché tanto rumore? È lo schiaffo dato da Ahed a un soldato che non possiamo dimenticare. E lei ne pagherà il prezzo per sempre.

Jonathan Ofir è un musicista, presentatore e blogger israeliano che lavora in Danimarca.

How Ahed Tamimi was slapped first, and why no one is talking about it

Traduzione di Stefania Cherchi

 

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