I due lati della medaglia palestinese: lo sciopero della fame e Gaza.

Giu 3, 2017 | Riflessioni

Richard Falk esamina lo sciopero della fame appena concluso di più di un migliaio di palestinesi nelle prigioni israeliane, e lo mette in rapporto con la prolungata tortura di quasi 2 milioni di palestinesi nella prigione a cielo aperto di Gaza.

di Richard Falk.

Global Justice, 28 maggio 2017.

Lo sciopero della fame dei palestinesi che protestavano contro le condizioni di detenzione nelle prigioni israeliane è stato sospeso il 27 maggio, dopo 40 giorni, quando molti dei circa mille scioperanti stavano andando incontro a seri problemi di salute e la maggior parte di loro era stata ricoverata. Intanto il mese santo del Ramadan stava per cominciare, creando continuità fra il digiuno diurno dei fedeli e la precedente disperata protesta degli scioperanti. Forse la cosa più clamorosa di questa straordinaria dimostrazione che ha visto uno sciopero della fame di massa così prolungato, è stato il fatto che i media di tutto il mondo e perfino l’ONU l’hanno trattato come una cosa appena degna di nota. E questo è ironico, visto che l’ONU viene sistematicamente attaccato dai diplomatici e dai media occidentali perché si preoccuperebbe troppo delle violazioni israeliane.

Bisogna tener ben presente che il ricorso ad uno sciopero della fame collettivo è una durissima forma di resistenza politica, invariabilmente provocata da prolungate ingiustizie, che richiede coraggio e determinazione a sopportare le difficoltà da parte dei partecipanti, che sottopongono la loro volontà a una delle prove più dure che possano esistere nella vita. Continuare a rinunciare al cibo per 40 giorni mette in pericolo la propria vita, è un gesto eroico, un impegno che non si prende certo con leggerezza.

Nel 1981, Bobby Sands e altri nove prigionieri dell’IRA in sciopero della fame digiunarono fino alla morte. Il mondo guardava col fiato sospeso a questo straordinario spettacolo di morte auto-inflitta che si consumava giorno dopo giorno. Pur non riconoscendo apertamente la gravità di ciò che stava accadendo davanti ai loro occhi, gli incalliti leader politici di Londra si resero conto della sfida morale che avevano di fronte, cambiarono improvvisamente tattica e cominciarono a lavorare ad un compromesso politico per l’Irlanda del Nord, una cosa che sarebbe stata impensabile senza lo sciopero.

I palestinesi non possono nutrire simili speranze, almeno a breve termine. Israele cerca di offuscare le sfide morali e politiche sollevate dallo sciopero, rilasciando filmati che apparentemente mostrano il leader della protesta, Marwan Barghouti, mentre mangia di nascosto delle merendine. Il fatto che questa accusa sia stata negata con decisione dai suoi familiari e dall’avvocato è stato riportato en passant dai media, ma solo come un dettaglio che non diminuisce l’impatto del discredito arrecato allo sciopero. Che sia vero o no, Israele è riuscito a distogliere l’attenzione dalla protesta ed ha evitato di prendere qualunque iniziativa per migliorare le condizioni dei prigionieri. E soprattutto non ha fatto alcun passo per mettere fine ai pesanti abusi che il popolo palestinese subisce da 70 anni e senza che ci sia una soluzione in vista. Le autorità penitenziarie hanno subito fatto ricorso a misure punitive per tormentare i prigionieri che erano in sciopero. Una tale risposta evidenzia il rifiuto del “democratico” Israele di trattare con rispetto forme di resistenza nonviolenta da parte del popolo palestinese.

Mentre si stava svolgendo il dramma delle prigioni, Gaza sperimentava un peggioramento della sua lunga crisi che è brutalmente manovrata da Israele per mantenere la popolazione civile, circa 2 milioni di persone, sull’orlo della fame e nella costante paura di attacchi militari. Sembra che l’apporto calorico minimo per la sopravvivenza sia stato usato dalle autorità israeliane come metro di riferimento per restringere il flusso di derrate alimentari verso Gaza. E poiché questo sembra che non bastasse per raggiungere il livello di controllo draconiano voluto da Israele, dalla fine del 2008 tre massicci attacchi militari e innumerevoli incursioni hanno inflitto pesanti perdite alla popolazione civile di Gaza ed hanno causato molte devastazioni: una catastrofe cumulativa per questa popolazione totalmente vulnerabile, impoverita, imprigionata. In un tale contesto, non stupisce che Hamas abbia risposto con le armi di cui disponeva, magari in modo indiscriminato, e anche se questo non è in accordo con la legge umanitaria internazionale.

Un intellettuale di primo piano residente a Gaza, Haider Eid, ha scritto recentemente un toccante comunicato dalla prima linea di quel fronte in cui si verificano continui crimini israeliani. Eid conclude il suo saggio Su Gaza e l’orrore dell’assedio con queste inquietanti parole:

“Capiamo perfettamente che la deliberata sottrazione di cibo, o dei mezzi per produrlo in qualche modo, è un’altra strategia dell’occupazione, colonizzazione e apartheid che Israele mette in atto in Palestina, e perciò dovrebbe essere vista come una aberrazione, o addirittura come un pogrom! Ma ciò che noi a Gaza non riusciamo a comprendere è: perché si permette che ciò accada?”

All’inizio del Ramadan, Haider Eid si rivolge al mondo chiedendo che prenda posizione contro ciò che lui definisce un “genocidio progressivo”, dando ascolto alla campagna BDS (Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni) fatta dalla società civile palestinese.

È significativo che l’appello di Eid sia rivolto alla società civile piuttosto che all’Autorità Palestinese, alla quale è affidato il compito di rappresentare il popolo palestinese sulla scena internazionale, o anche il compito di riprendere il “processo di pace” andato avanti per venti anni all’interno degli Accordi di Oslo. E non l’ha rivolto all’ONU, che ha accettato la responsabilità di gestire la regione dopo la rinuncia del mandato britannico sulla Palestina alla fine della seconda guerra mondiale. Questi metodi convenzionali per risolvere il conflitto sono falliti tutti, mentre hanno aggravato costantemente la situazione dei palestinesi e hanno accresciuto le ambizioni del movimento sionista di raggiungere i suoi obiettivi di espansione territoriale.

Oltre a questo, Eid nota che la credibilità del BDS è il risultato di un autorevole appello proveniente dal popolo palestinese al quale i popoli del mondo sono caldamente invitati a rispondere. Il fatto che, anziché affidarsi una legittimazione che scende dall’alto di poteri intergovernativi, ci si affidi qui ad una legittimazione che viene da un popolo perseguitato e dai suoi autentici rappresentanti, incarna le speranze palestinesi per un futuro più umano, e per un futuro riconoscimento di diritti a lungo negati.

È una cosa utile unire nella nostra immaginazione le traversie dei prigionieri nelle galere israeliane con quelle del popolo di Gaza, senza dimenticare la più ampia realtà che sta alla base del problema: il popolo Palestinese nella sua totalità, indipendentemente dalle differenti situazioni in cui si trova, viene martoriato da una struttura israeliana di dominazione e discriminazione che si configura chiaramente come apartheid, e come prigionia sotto diverse forme.

Sembra che lo sciopero della fame non sia riuscito ad indurre Israele a soddisfare molte delle richieste degli scioperanti per condizioni migliori. Ma lo sciopero è riuscito a ricordare ai Palestinesi e al mondo le doti di leadership di Marwan Barghouti, e ha risvegliato la popolazione palestinese all’imperativo morale e politico di sostenere e manifestare la sua volontà di resistenza come alternativa alla disperazione, alla passività e alla sottomissione. Gli israeliani e alcuni dei loro più ferventi sostenitori dichiarano apertamente vittoria per se stessi e sconfitta per i Palestinesi. Indipendentemente dalla nostra religione o identità etnica, noi che viviamo al di fuori del cerchio di oppressione israeliano dovremmo fare tutto il possibile per impedire qualunque esito che prolunghi le ingiuste sofferenze dei palestinesi, o le accetti come inevitabili.

Ciò che è orribile deve diventare impossibile.

Richard Falk |

http://bit.ly/2rk07eN

Traduzione di Rossella Rossetto

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