Un assassinio che ha funzionato (in Israele)

Gen 19, 2016 | Info dal mondo

di Roger Cohen

The New York Times, 17 dicembre 2015

Venti anni fa veniva assassinato Yitzhak Rabin, il soldato che divenne primo ministro di Israele e che cercò una pacificazione. Quell’assassinio si è dimostrato uno dei più riusciti della storia.

Così come il Mahatma Gandhi fu assassinato da un fanatico hindu, anche Rabin fu ucciso da uno dei suoi, un fanatico ebreo che non sopportava l’idea di fare compromessi territoriali in cambio di pace. Ygal Amir, l’assassino, era un religioso-nazionalista seguace di Baruch Goldstein, l’americano che nel 1994 uccise 29 fedeli palestinesi ad Hebron.

La ragionevolezza si ridusse al minimo. La rabbia traboccò. Il centro si sgretolò. Il Sionismo messianico, quello che rivendica tutta la terra tra il Mediterraneo e il Giordano come una proprietà donata da Dio, soppiantò il Sionismo secolare che crede invece in uno stato di diritto.

Un politico opportunista di destra chiamato Benjamin Netanyahu, che aveva paragonato Rabin a Chamberlain, salì al potere. Può darsi che superi David Ben-Gurion quanto alla durata nella carica di primo ministro, ma la sua eredità è ben misera rispetto a quella del padre fondatore di Israele.

La pallottola di un assassino fece scomparire un guerriero-pacificatore nel 1995. Lo ha rimpiazzato un mercante che vende paura. È scomparsa una leadership degna di questo nome. Se non c’è leadership, qualunque problema è insormontabile, ma se c’è, nessun problema è insolubile.

È passato quasi mezzo secolo da quando Israele ha preso il controllo della Cisgiordania ed ha sostenuto il movimento dei coloni che ora conta alcune centinaia di migliaia di Ebrei che vivono ad Est della Linea Verde, godono della cittadinanza israeliana e ricevono svariati sussidi statali. E allora perché Israele non ha affermato la sua sovranità sull’intero territorio e non ha concesso il voto e altri diritti democratici a tutti quelli che ci abitano?

La risposta è semplice: troppi Palestinesi. Estendere la sovranità a tutto il territorio avrebbe significato la fine dello stato ebraico. Israele ha scelto invece di compromettere la sua democrazia. Come ha detto Gershom Gorenberg, Israele “si è comportata come se i Territori fossero parte di Israele per realizzare gli insediamenti, e come se fossero sotto occupazione militare per governare sui Palestinesi.”

Questa politica è corrosiva. Nessuna democrazia si salva se gestisce un sistema antidemocratico su una parte del territorio che controlla. Dall’altra parte della Linea Verde, milioni di abitanti sono dei non-cittadini. Questo è l’altamente infiammabile “stato unico reale” di cui ha parlato questo mese il Segretario di Stato John Kerry.

I non-cittadini sono i Palestinesi colonizzati da Israele. Oppressione e umiliazione sono scolpite nella topografia stessa della Cisgiordania. Israele, con la politica degli insediamenti, ha compromesso l’impegno per un democratico stato di diritto promesso dai suoi fondatori sionisti.

Lo scrittore Vikram Seth ha osservato: “Il grande vantaggio di essere il popolo eletto è quello di potersi permettere di decidere chi sono i non-eletti.”

Il grande svantaggio del Sionismo Messianico è che rende impossibile per Israele essere uno stato ebraico e democratico. Rende inevitabile la violenza.

Da ottobre ad oggi, più di 20 Israeliani e più di 100 Palestinesi sono stati uccisi in quella che qualcuno chiama la terza intifada. Questo è lo status quo. Tre guerre a Gaza dal 2008 sono lo status quo. Israele oggi è un miracolo di rapido sviluppo che poggia sulle fragili fondamenta dell’occupazione. Gli accoltellamenti sono lo status quo.

La leadership palestinese è stata una frana. È divisa. È corrotta. Non ha legittimità democratica. Si è crogiolata nell’abbraccio consolatorio dell’ingiustizia invece di prendere la difficile decisione di porvi fine. Ha preferito il teatro alla sostanza. Istiga contro gli Ebrei. Il tempo, come dimostrano gli ultimi 67 anni, non gioca a favore dei Palestinesi.

Niente di tutto questo cancella il diritto dei Palestinesi ad uno stato chiamato Palestina nella Cisgiordania e a Gaza, né l’interesse a lungo termine di entrambe le parti a lavorare per questa soluzione. Rabin detestava quello che i Palestinesi avevano fatto. Eppure, per la sicurezza di Israele, aveva scelto la pace.

Il fondamento della legalità di Israele appoggiata dall’ONU consisteva nel compromesso territoriale, come previsto dalla Risoluzione 181 del 1947, che prevedeva due stati in Terrasanta, uno ebraico e uno arabo. Questa era una decisione presa dagli uomini, non da Dio.

Il patto portato dagli Ebrei per tutto il mondo era un patto di princìpi, non un patto che garantiva per sempre agli Ebrei le colline di Giudea e Samaria. Alla sua base c’è l’idea che ciò che è odioso per te non deve essere inflitto ai tuoi simili umani. Deve valere per l’Ebreo forte di Israele così come per l’Ebreo oppresso della diaspora.

Come il quotidiano liberale israeliano Haaretz ha recentemente riportato, vari enti e organizzazioni no-profit degli Stati Uniti, che possono dedurre la donazioni dalle tasse, forniscono fondi al movimento dei coloni, contro la posizione dello stesso governo USA.

Daniel Kurtzer, un ex-ambasciatore americano a Israele, ha riassunto così i motivi per cui questo è inaccettabile: “Il governo –e noi cittadini– stiamo sovvenzionando un’attività che compromette la politica del governo.”

Non c’è da stupirsi se l’amministrazione Obama è stanca di fornire ai leader israeliani e palestinesi la foglia di fico di un “processo di pace.” Ma potrebbe lanciare un segnale se rendesse pubblico il suo punto di vista che mira a un compromesso territoriale basato sostanzialmente sui confini del 1967, con scambi concordati. Potrebbe far leva sulla sua opposizione alla crescita degli insediamenti. Potrebbe chiudere le falle nel sistema di tassazione che favoriscono i coloni israeliani. Potrebbe cercare di rendere l’assassinio di Rabin un po’ meno riuscito.

http://www.nytimes.com/2015/12/18/opinion/the-assassination-in-israel-that-worked.html?rref=collection%2Fcolumn%2Froger-cohen&action=click&contentCollection=opinion&region=stream&module=stream_unit&version=latest&contentPlacement=6&pgtype=collection&_r=0

(traduz. di Donato Cioli)

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