Terroristi e spie di Sion

Dic 5, 2015 | Info dal mondo, Notizie

Questo è l’ultimo articolo scritto da Yossi Sarid, morto lo stesso giorno in cui l’articolo veniva pubblicato su Haaretz. Yossi Sarid è stato un giornalista e uomo politico, per oltre 30 anni membro del Parlamento israeliano e più volte ministro. Militava nel partito Meretz, una formazione di sinistra di stampo liberal-democratico, sostenitrice delle libertà civili e contraria all’occupazione.

Terroristi e spie di Sion

di Yossi Sarid

Haaretz, 4 dicembre 2015

Un palestinese esamina la casa della famiglia Dawabsheh, incendiata nel villaggio di Duma, vicino alla città di Nablus in Cisgiordania. 31 luglio 2015. AP

Un palestinese esamina la casa della famiglia Dawabsheh, incendiata nel villaggio di Duma, vicino alla città di Nablus in Cisgiordania. 31 luglio 2015. AP

I vostri terroristi ebrei vengono prima di tutto. Le loro case non saranno demolite, le loro famiglie non saranno incolpate, perché il vostro Dio fa ricadere le colpe dei padri sui figli fino alla terza e quarta generazione solo se essi lo odiano; mentre il vostro Dio ha pietà (secondo gli antichi testi e il libro Torat Hamelech) per i molti che lo amano e rispettano i suoi comandamenti. Ma sappiate che questo non è il mio Dio.

Il giudice della Corte Suprema Noam Sohlberg segue le orme del suo Dio: “Per il popolo ebreo non c’è bisogno di deterrenti. … Il cittadino ebreo, di norma, è disciplinato e non si fa sobillare.” Chi sono quei malvagi che hanno calunniato i giudici di Gerusalemme, dicendo che si erano chiusi in una torre d’avorio invece di vivere in mezzo alla gente? Vedete invece, anche i giudici condividono il nostro giudizio positivo su noi stessi, un popolo immune dalle istigazioni. Solo noi, di tutti i popoli della terra, non diventeremo mai un’orda dedita al linciaggio, perché noi siamo il Popolo Eletto. I terroristi ebrei e quelli che si vogliono vendicare per pareggiare il conto, ricevono soltanto, non si sa mai, qualche speciale attenzione. A loro, le autorità assegnano fonti di informazione riservate che non possono essere svelate al pubblico, e intanto i terroristi si assicurano l’incolumità personale. Il primo ministro potrà aver battuto i pugni sul tavolo e dato ordini, come fa sempre, ma per carità non voleva certo mettere a rischio la sicurezza nazionale. Forse solo ora, dopo quattro mesi e dopo averci pensato quattro volte, ci sarà alla fine permesso di sapere chi ha gettato le bottiglie incendiarie nella casa della famiglia Dawabsheh. Ma la strada è ancora lunga, e anche l’indagine è lunga.

Il tuo popolo, Israele, non ha bisogno di deterrenti, perché fino ad ora non risulta che [l’assassino di Rabin] Yigal Amir avesse seguaci. Pochi giorni fa, una scrittrice mia conoscente mi ha raccontato di un’esperienza che ha avuto in una scuola religiosa statale in una colonia della Cisgiordania, quando si aspettava che gli studenti avessero reazioni di repulsione [verso Yigal Amir, NdT] e aveva invece trovato reazioni di immedesimazione.

E, diciamo la verità, a che servirebbe cercare di scoraggiare preventivamente, se dopo i fatti si emettono sentenze benevole o addirittura sentenze di grazia? Perché noi siamo una grande famiglia. C’è una linea di continuità dal massacro di Kafr Qasem del 1956, all’uccisione del terrorista che aveva sequestrato l’autobus N° 330, all’organizzazione Jewish Underground, e ora ai fautori della supremazia ebrea del gruppo Lehava. Sono tutti Prigionieri di Sion e beneficiano di una politica di porte di prigione girevoli e di giudici che le tengono ben oliate. E le imprese dei padri fanno da guida ai nipoti.

Baruch Goldstein, che la sua morte sia vendicata, è sepolto in un grande scenario, per tramandare la memoria di quella sua morte atroce, nella colonia di Kiryat Arba. E le folle che vanno a farci il loro pellegrinaggio annuale alzano una gamba sulla sua tomba e ci urinano sopra per innaffiare le piante messe in onore di Baruch, il Vero Uomo.

Questi sono i nostri terroristi, e anche le nostre spie non sono da meno. Questa settimana, la versione americana del Der Sturmer [ironica allusione al New York Times, NdT] ha pubblicato un editoriale che plaude alla posizione presa da quell’odiato presidente Obama. L’editoriale afferma che, a detta dei suoi sostenitori, Jonathan Pollard è da considerare un eroe, ma in realtà egli ha commesso gravi violazioni della legge e ha tradito la fiducia del suo paese. Non si merita quindi un particolare riguardo. E il New York Times aggiunge: “Tra le accuse sollevate contro di lui, Pollard è descritto come un agente inaffidabile, che cercò di vendere segreti non solo a Israele, ma anche al Pakistan, al Sud Africa e ad altri paesi in cambio di soldi, che Israele gli dette in gran quantità. Molti fatti restano sconosciuti perché Pollard si dichiarò colpevole e il suo caso non arrivò al processo.” E adesso è stato condannato ad altri cinque anni di libertà condizionale nel “gulag” di Manhattan. Un altro “santo torturato” ha ricevuto una libertà condizionale permanente a condizioni non meno vendicative, e il tribunale israeliano le ha approvate.

Così va il mondo. Ogni paese aiuta le spie e gli assassini che hanno agito per suo conto. E in questo la tribù ebraica è più brava di qualunque altra. Anche se hanno peccato, gli Ebrei rimangono sempre gli Ebrei. I nostri gloriosi eroi sono nostri fratelli di sangue.

Solo i Palestinesi, che sono influenzati da chi li sobilla, glorificano i martiri. Loro sono diversi da noi. Loro devono dimostrare di essere santi con la morte, su base individuale e secondo i termini dell’offerta promozionale del giorno. Invece la nostra santità collettiva non ha bisogno di esser dimostrata, perché noi siamo quelli che Dio ha santificato e non abbiamo bisogno di attestarlo con la morte.

Yossi Sarid

Collaboratore di Haaretz

http://www.haaretz.com/opinion/.premium-1.690008

(traduzione di Donato Cioli)

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